Curiosità storiche

Il 6 settembre del 1861 alle ore 18, Francesco II, scappava a Gaeta con un esercito di fedelissimi, consegnando il suo regno su di un piatto d’argento a Giuseppe Garibaldi, che entrò a Napoli alle 13,30 del giorno dopo, lasciando al suo popolo questo manifesto:

<<Fra i doveri prescritti ai re, quelli dei giorni di sventura sono i più grandiosi e solenni, ed io intendo di compierli con rassegnazione scevra di debolezza, con animo sereno e fiducioso, quale si addice al discendente di tanti monarchi. A tale uopo rivolgo ancora una volta la mia voce al popolo di questa metropoli, da cui debbo ora allontanarmi con dolore. Una guerra ingiusta e contro la ragione delle genti ha invaso i miei stati, nonostante ch'io fossi in pace con tutte le potenze europee. I mutati ordini governativi, la mia adesione ai grandi principi nazionali e italiani non valsero ad allontanarla, che anzi la necessità di difendere l'integrità dello Stato trascinò seco avvenimenti che ho sempre deplorati. Onde io protesto solennemente contro queste inqualificabili ostilità, sulle quali pronunzierà il suo severo giudizio l'età presente e futura. Il corpo diplomatico residente presso la mia persona seppe, fin dal principio di questa inaudita invasione, da quali sentimenti era compreso l'animo mio per tutti i miei popoli,e per questa illustre città, cioè garantirla dalle rovine e dalla guerra, salvare i suoi abitanti e le loro proprietà, i sacri templi, i monumenti, gli stabilimenti pubblici, le collezioni d'arte,e tutto quello che forma il patrimonio della sua civiltà e della sua grandezza,e che appartenendo alle generazioni future è superiore alle passioni di un tempo. Questa parola è giunta ormai l'ora di compierla. La guerra si avvicina alle mura della città,e con dolore ineffabile io mi allontano con una parte dell'esercito, trasportandomi là dove la difesa dei miei diritti mi chiama. L'altra parte di esso resta per contribuire, in concorso con l'onorevole Guardia Nazionale, alla inviolabilità, ed all'incolumità della capitale, che come un palladio sacro raccomando allo zelo del ministero. E chieggo all'onore e al civismo del sindaco di Napoli e del comandante della stessa guardia cittadina di risparmiare a questa Patria carissima gli orrori dei disordini interni e i disastri della guerra civile; al quale uopo concedo a questi ultimi tutte le necessarie a più estese facoltà. Discendente di una dinastia che per ben 126 anni regnò in queste contrade continentali, dopo averlo salvato dagli orrori di un lungo governo viceregnale, i miei affetti sono qui. Io sono napoletano, né potrei senza grave rammarico dirigere parole di addio ai miei amatissimi popoli, ai miei compatrioti. Qualunque sarà il mio destino, prospero o avverso, serberò sempre per essi forti e amorevoli rimembranze. Raccomando loro la concordia, la pace, la santità dei doveri cittadini. Che uno smodato zelo per la mia corona non diventi fase di turbolenze. Sia che per le sorti della presente guerra io ritorni in breve fra voi, o in ogni altro tempo in cui piacerà alla giustizia di Dio restituirmi al trono dei miei maggiori, fatto più splendido dalle libere istituzioni di cui l'ho irrevocabilmente circondato, quel che imploro da ora è di rivedere i miei popoli concordi, forti e felici.>>
Esistono ormai tante ricostruzioni storiche degli eventi di quei giorni molto più serene, veritiere ed oggettive della "versione ufficiale" fornita e propalata in questi 140 anni dalla "vulgata" storiografica risorgimentale, sconosciute al grande pubblico italiano e non, ancora influenzato dai ricordi di scuola sull'eroica conquista dei Mille fra il popolo meridionale esultante per essere "liberato" dalla "barbarie borbonica".
Già dagli Anni Cinquanta, con i Patti di Plombières, Cavour aveva preparato con Napoleone III e la Gran Bretagna  e grazie all'aiuto del mondo democratico italiano, l'invasione del Regno delle Due Sicilie, uno stato sovrano, pacifico, e paradossalmente, alleato del Regno di Sardegna, il cui ultimo Re per altro era cugino del Re Vittorio Emanuele II.
- Cavour fu appoggiato da Napoleone III, che in pubblico condannava la spedizione, ma di nascosto diede il suo assenso a Cavour con la famosa frase: "Faites, mais faites vite!" (fate, ma fate in fretta!), chiedendo, però, in cambio del suo "non-intervento", la città di Nizza e la Savoia.
- Garibaldi, ricevette uomini, navi, ma soprattutto armi dal Regno di Sardegna, mentre i soldi li ricevette dalla Gran Bretagna e dalla massoneria internazionale; con quel denaro si poterono corrompere i più alti ufficiali borbonici, che consegnarono intere fortezze e varie postazioni militari al nemico. L’esercito Borbonico, fin dallo sbarco in Sicilia non combatté mai seriamente contro i garibaldini, tanto che Garibaldi giunse a Napoli in treno.
I soldi della Massoneria internazionale servirono anche per la corruzione dei principali uomini di governo, che consigliarono Francesco II, Re giovane ed inesperto, nella maniera peggiore possibile, fino ad arrivare all'aperto tradimento, come nel caso, solo per fare il nome più celebre, di Liborio Romano, primo ministro e primo traditore del Re.
- Cavour mandò Persano, comandante della flotta sabauda, a seguire da lontano con le navi, la spedizione di Garibaldi e ad aiutarlo qualora ci fossero stati dei problemi.
- La Gran Bretagna, fece attraccare nel Golfo di Napoli, una flotta in assetto da guerra mentre Garibaldi arrivava, chiaro segno di cosa sarebbe accaduto se Francesco II avesse tentato di resistere.
- Vittorio Emanuele II giurava amicizia al cugino a Napoli, e Cavour ordinava al generale Cialdini di scendere con l'esercito a Napoli per impossessarsi del Regno , e lo stesso Re sabaudo venne al Sud per ottenere da Garibaldi il Regno conquistato (l'incontro di Teano);
 - Francesco II, di fronte ad uno dei più grandi complotti internazionali della storia, davanti al tradimento dei suoi ufficiali e dei suoi uomini di governo, dei più vicini e "affezionati" consiglieri, capì che tutto era perduto: per evitare spargimenti di sangue di civili, lasciò Napoli, e si rifugiò nella fortezza di Gaeta.
Qui comincia l’ultimo periodo di permanenza di Francesco II sul suolo Campano, la storia della tragica resistenza della fortezza di Gaeta, assediata dal Generale Sabaudo, Cialdini. L'assedio, iniziato il 13 novembre 1860, durò fino al 13 febbraio 1861. Fu affrontato con tale durezza, che Cialdini fece bombardare anche la stanza dei sovrani, evidentemente nella speranza di ucciderli. Si racconta che il 5 febbraio 1861, la polveriera Sant'Antonio, evidentemente colpita dal fuoco piemontese, saltò in aria uccidendo circa cento soldati e seppellendone sotto le macerie altre centinaia.
Dopo una breve tregua per far estrarre i feriti dalle rovine, Cialdini rifiutò una proroga che avrebbe consentito di soccorrere le altre vittime ancora vive; il generale sardo volle quindi riprendere il bombardamento, offrendo al tempo stesso una resa senza condizioni alla stremata guarnigione napoletana. Di fronte alla inutilità di un'ulteriore resistenza, Francesco II autorizzò il governatore di Gaeta a trattare. Per giorni si protrassero i colloqui senza che Cialdini cessasse di rovesciare sulla fortezza il fuoco. Poiché la resa era sicura, quell'ulteriore dispiegamento di artiglieria d'assedio era inutile. Fu così che a Gaeta, alle tre del pomeriggio del 13 febbraio, mentre i parlamentari napoletani e sardi stavano discutendo gli ultimi dettagli della capitolazione, saltò in aria la polveriera della batteria Transilvania con le sue diciotto tonnellate di esplosivi. Immediatamente, le batterie d'assedio piemontesi concentrarono il fuoco sulle macerie per impedire i soccorsi, mitragliando i barellieri. Morirono inutilmente due ufficiali, cinquanta soldati e l'intera famiglia del guardiano del bastione.
Cialdini, non ancora soddisfatto, volle anche riuscire sarcastico per umiliare chi aveva avuto il coraggio di resistergli con dignità, e si offrì di fornire con generosità alla coppia sovrana una nave per andare a Roma: ne scelse una che fece ribattezzare "Garibaldi".
Fra le lacrime dei soldati e degli ufficiali inginocchiati e della popolazione, mentre stringevano le mani a tutti, senza distinzione, fra le lacrime e i sorrisi, Francesco II e Maria Sofia salparono per Roma.
Dopo la caduta del Regno delle Due Sicilie, i Reali furono ospitati a Roma da Pio IX (che ricambiava in tal maniera l'ospitalità ricevuta da Ferdinando II nel 1848-1850) prima al Quirinale poi a Palazzo Farnese, fino al 1870. In questi anni, essi tentarono dapprima di dirigere la protesta che stava prendendo piede nell'ex-Regno, ma poi si resero conto che tutto era perduto e non vollero essere causa di altro sangue, di altro odio e dolore.
Privati dei loro beni personali dai Savoia (erano stati sequestrati senza alcun diritto né giustificazione da Garibaldi, non solo i beni immobili, ma anche quelli mobili, che Francesco non aveva voluto portare con sé), essi dovettero spostarsi spesso, e vissero per molto tempo a Parigi, e di tanto in tanto in Baviera nelle tenute della famiglia di Maria Sofia, conducendo vita serena e modesta.

 

Per approfondimenti: www.realcasadiborbone.it/ita

 

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